Studio Sindone
Il nuovo sito di studio sulla Sindone: un fatto di ragione, non di fede
MESSAGGIO CIFRATO PER L'UOMO DEL 2000?
di Antonio Bonelli
Il conflitto tra fede e scienza, e tra fede e ragione,
è una delle più stupefacenti turlupinature della storia dell'umanità.
Sommario
- La "storia" e i suoi limiti nella vicenda della Sindone
- Cosa ci dice la "scienza"? - Prima Parte
- Cosa ci dice la "scienza"? - Seconda Parte
- Come si è formata quell'immagine già tanto straordinaria?
- "L'affare" della radiodatazione al carbonio 14
- Chi è l'uomo della Sindone?
- Discussione
La "storia" e i suoi limiti nella vicenda della Sindone
E' storicamente documentato che la Sacra Sindone si trovava in Francia nel 1353 o poco prima, ed è noto l'itinerario da essa percorso per giungere a Torino, dove tuttora si trova.(1) Altrettanto certo è che si tratti di un lenzuolo mortuario su cui vi è impressa l'immagine di un uomo che mostra sul corpo piaghe e segni che corrispondono esattamente a quanto riportato dai Vangeli in merito alla Passione di Cristo. Lo stesso Telo è sorprendentemente simile a quello che per secoli fu conservato ed esposto alla venerazione dei fedeli ogni venerdì nella chiesa di Santa Maria di Blacherne a Costantinopoli.
Tra i visitatori illustri cui gli imperatori bizantini mostrarono il Telo tra il 1171 e il 1203, figurano Guglielmo, cancelliere del Regno di Gerusalemme e arcivescovo di Tiro, e Almerico re di Gerusalemme. Ma da Costantinopoli scomparve nel tragico 1204, quando la città fu espugnata e saccheggiata dai Cavalieri della IV crociata. Molti cimeli di grande valore devozionale e artistico furono allora depredati dai conquistatori e portati in Europa. Sebbene non storicamente provato, è verosimile che la stessa sorte sia toccata anche a quel sudario, la reliquia più sacra dell'intera Cristianità. E' possibile che la Sindone di Torino e il sudario di Costantinopoli siano lo stesso oggetto? Numerosi e convincenti indizi inducono a crederlo.(2)
Ma cosa si sa del prezioso lino di Costantinopoli prima della sua comparsa in quella città? Una suggestiva "pista" storica porterebbe a Edessa (l'attuale città turca di Urfa, allora in Siria), sede di una delle prime chiese cristiane che la tradizione vorrebbe fondata dal discepolo Taddeo.(3) Un telo conosciuto come il Mandylion di Edessa (mandilion o mandillon, in greco "μανδύλιoν") e ripiegato varie volte su se stesso (tetràdiplon, "quattro volte doppio" secondo antiche fonti) in modo da raffigurare nel riquadro "di copertina" il volto sofferente del Cristo, sarebbe giunto a Edessa in epoca remota e circostanze sconosciute in cui leggenda e tradizione sorprendentemente convergono.
Fig. 1: ipotesi di piegatura della Sindone, in relazione ai segni delle pieghe che a intervalli regolari si riscontrano sul tessuto
Fig. 1b: affresco del Mandylion, Monastero della Trasfigurazione, Pskov, XIII° secolo. La vasta iconografia sembra confermare che l'immagine fosse conservata in un reliquiario a grata e piegata in modo da mostrare solo il Volto
Forse a causa delle persecuzioni, per proteggere il Mandylion da profanatori e razziatori, esso fu nascosto - poi probabilmente dimenticato per secoli - in un segreto anfratto delle mura cittadine e venne ritrovato nel VI° secolo.(4) Nel VII° sec. Edessa cadde in mano ai musulmani e fu riconquistata agli Arabi nel 944 dal generale bizantino Giovanni Curcas (Kurkas) che ottenne il mandylion e lo condusse con sé a Costantinopoli dove fu accolto dalla folla giubilante. Se ciò è storicamente provato, come sembra (Rambaud A. - Runciman S.), l'identità del mandylion con la reliquia di Costantinopoli, e in ultima istanza con quella di Torino, appare assai più che una semplice ipotesi. Queste ricerche storiche, tuttora in corso e di grande interesse, hanno però importanza del tutto marginale in questa presentazione, sicché le abbiamo relegate nelle note fuori testo a scopo semplicemente informativo. Perché importanza marginale? Perché hanno dei limiti invalicabili. Infatti, anche se si dimostrasse che ai tempi di Gesù la Sindone di Torino già esisteva, non per questo avremmo la certezza che si tratti proprio di quella di cui parlano tutti e quattro gli evangelisti.(5) E allora, "a noi convien tenere altro viaggio", per dirla con Dante, se vogliamo giungere a quella certezza: "il viaggio" della scienza attraverso i misteri racchiusi nel Telo e ancor più nell'immagine impressavi.
Fig. 1c: l'immagine sindonica come appare sul fronte e sul retro
Note
(1) In circostanze storicamente incerte (vedi anche la nota 2), la Sindone giunse nelle mani del re di Francia Filippo VI di Valois nel 1349. Nel 1350, in punto di morte, egli la lasciò in eredità al fedele condottiero Goffredo Conte di Charny Signore di Lirey, un minuscolo villaggio della regione dello Champagne, sembra in ricompensa per la parte da lui avuta nelle campagne contro gli inglesi. E' con eccesso di garantismo che fissiamo proprio al 1350 l'ingresso "ufficiale" della Sindone di Torino nella storia. All'epoca della guerra dei cent'anni, per proteggerla da furti e danneggiamenti, Margherita, la nipote di Goffredo, la mise al sicuro nel castello del marito rilevandola dai canonici di Lirey, i quali l'avevano avuta in affido. Nel 1452, poi, rifiutò di restituirla ai canonici che la reclamavano, e la inviò invece a Chambéry presso sua cugina Anna, figlia del re di Cipro e moglie del Duca Luigi I di Savoia.
Nel 1467, Papa Paolo II concesse al duca di costruire una cappella nella propria residenza di Chambéry, per ospitarvi la Sindone. Tra il 1472 e il 1474 Papa Sisto IV confermò i privilegi con tre bolle. Il Sabato Santo del 1503, il Sacro Telo fu portato nella vicina città di Bourg-en-Bresse per essere mostrato all'Arciduca Filippo il Bello d'Austria, là di passaggio. Infine, con la bolla Romanus Pontifex del 1506, Papa Giulio II autorizzò la devozione alla Sindone come sacra reliquia.
Tornata stabilmente a Chambéry dopo numerosi altri spostamenti in Francia e numerose ostensioni in pubblico, tra il 3 e 4 dicembre del 1532 fu salvata a stento da un incendio che distrusse la cappella di legno che la custodiva. La tela, contenuta in uno scrigno ripiegata dodici volte su se stessa, subì danni, anche se marginali, a causa del fuoco e dell'acqua di spegnimento. Quando fu ispezionata distesa, rivelò la presenza di sedici grossi fori e dodici piccoli, rammendati poi dalle Clarisse di quella città.
Nel 1578 il duca Emanuele Filiberto di Savoia (1528-1580) la fece trasferire da Chambéry a Torino per abbreviare quanto possibile il pellegrinaggio all'arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo, il quale aveva fatto il voto di recarsi in Francia a piedi per venerare la Sindone come segno di ringraziamento al Signore per aver liberato Milano dalla peste. E a Torino la Sindone rimase: fino al 1694 nella cappella di Palazzo Reale, poi nella cattedrale, quindi, alla fine del '600, nella Cappella della Sindone costruita appositamente in quell'abside; vi rimase fino al 1997 quando, fortunosamente salvata indenne da un incendio di natura dolosa, fu sistemata di nuovo in cattedrale, dove tuttora si trova. Nel 1983 Umberto II di Savoia la lasciò in eredità alla Santa Sede (notizie tratte prevalentemente da O'Connel).
(2) L'ipotesi è plausibile, sebbene molti condizionali gravino su quanto accadde alla reliquia di Costantinopoli nel secolo che intercorre dalla scomparsa dalle rive del Bosforo alla ricomparsa in Francia. A farcela qui arrivare sarebbe stato il borgognino Otto de la Roche-sur-Ognon, Gransignore di Atene, comandante "latino" del distretto di Blacherne, dove era conservata nella chiesa di Santa Maria. Egli sarebbe entrato in possesso della Sindone come bottino di guerra, e l'avrebbe inviata al padre per farne dono al vescovo di Besançon. Sistemata dal presule nella cattedrale di Sant'Etienne di quella città, venne là esposta alla venerazione dei fedeli il Sabato Santo di ogni anno fino al marzo del 1349, quando vi si sviluppò un incendio. Lo scrigno contenente il lenzuolo rimasto fortunatamente indenne scomparve nella confusione del drammatico evento per finire poco dopo nelle mani di re Filippo VI. A nulla valsero le rivendicazioni di quel vescovo per rientrare in legittimo possesso del venerato lenzuolo, sicché il presule, per soddisfare quantomeno in parte il desiderio dei suoi fedeli, espose due anni più tardi in quella stessa cattedrale una copia dipinta della Sindone ricavata, pare fedelmente, dall'originale.
(3) Interessante, quantunque poco attendibile, è quanto su Edessa scrive, rifacendosi ad autori greci del IV-VI° secolo, lo storico bizantino del XIII-XIV° secolo Niceforo Xantopulo Callisto (ca 1256-ca 1335) nell'opera dal titolo latino Nicephori Callisti Xanthopuli scriptoris vere Catholici, Ecclesiasticae historiae libri decem & octo, Basileae per Ioannes Issi 1551, dato all'opera dal traduttore Ioannis Langi. Al libro II, capitolo VII, è detto che il discepolo Taddeo, uno dei Settanta, fu inviato dall'apostolo Tommaso a Edessa, e vi iniziò l'evangelizzazione. Abgar V (conosciuto anche come Agarus o Abgarus), re della città dal 13 al 50 d.C., mandò un illustre pittore a Cristo con l'ordine di dipingerne con cura ("diligenter et accurate") l'effigie, e di portargliela. L'artista vi si recò, e stando in un luogo elevato, si sforzava di dipingere il volto di Cristo, com'era suo dovere. Non riuscendo a eseguire l'opera intrapresa poiché lo splendore e la grazia divini che brillavano sul suo volto non glielo consentivano, il Salvatore, accortosene, prese un telo di lino là dove aveva precedentemente impresso la propria effigie, e lo inviò ad Abgar. Cristo gli consegnò la propria immagine impressa in un tessuto di lino, senza dubbio un dipinto prodottosi spontaneamente ("picturam scilicet άυτόματον", con questa parola greca introdotta nel testo latino).
Anche al re dei Persiani furono portate le effigi di Cristo e di sua madre. Si dice infatti che anche il re dei Persiani abbia inviato un pittore dotato d'ingegno e di arte manuale e per mezzo suo, mosso da fervente impulso di fede, abbia contemporaneamente ricevuto un ritratto dipinto dello stesso Cristo e della madre che in modo divino lo generò. E queste cose sono desunte dai documenti e dagli archivi della città di Edessa, che era allora governata da potere regio. Nel libro XV, capitolo XIIII, si legge: Pulcheria (399-453, sorella dell'imperatore Teodosio II alla cui morte gli succedette come imperatrice romana d'Oriente, n.d.a.) fondò la chiesa di Blacherne per conservarvi l'immagine di Maria dipinta dall'evangelista Luca. E al capitolo XXIIII dello stesso libro: La veste di Maria Vergine viene riposta nella chiesa a pianta circolare e cuspidata ("in rotundo atque acuminato templo") detta Blacherne, nella zona suburbana che si chiamava per l'appunto Blacherne. Infine, nel libro XVII, capitolo XVI, si parla della straordinaria o meravigliosa ("mirifica") Edessa che, per voce e credenza unanime ("supra opinionem & fidem omnium"), è governata ("gesta") dall'immagine non fatta da uomo ("non manufacta") del Signore Dio e Salvatore nostro ("servatoris") Gesù Cristo. Dalla non facile comparazione di dati e date, risulterebbe quindi che il lino, o i lini, passati per breve tempo da Edessa, siano approdati a Costantinopoli già nel V° secolo, ossia mezzo millennio prima del 944. Ora, pur con le ovvie e dovute riserve sull'attendibilità del testo del XIII-XIV° secolo, è difficile credere che la "vicenda Edessa" non abbia alcun fondamento di verità storica.
(4) Gli Edesseni temevano che la loro reliquia potesse essere distrutta tanto dai giudei ortodossi quanto dai cristiani: i primi infatti provavano ripugnanza per oggetti correlati a cadaveri, mentre i secondi pur potendo raffigurare il Cristo con il simbolico agnello mistico, non potevano invece rappresentare i segni della Passione e della croce, per secoli ancora ritenuta strumento di morte infamante. Fu solo nel 692, con il Concilio di Costantinopoli, che il Cristo, vivo, comparve sulla croce, mentre il Cristo morto divenne comune solo nel X° secolo. Il pericolo maggiore per il mandylion fu però rappresentato dapprima dai musulmani, che nel VII° secolo conquistarono la città, poi dalla furia iconoclastica dell'VIII° e IX° secolo.
(5) Matteo, 27,59: E preso il corpo (di Gesù), Giuseppe (d'Arimatea) lo avvolse in un lenzuolo pulito (σινδόνι καθαρά), e lo pose nel suo sepolcro nuovo...
Marco, 15,46: E questi (Giuseppe d'Arimatea), comprato un lenzuolo (σινδόνα), calatolo giù, (lo) ravvolse nel lenzuolo (σινδόνι) e lo pose in un sepolcro...
Luca, 23,53: E dopo aver(lo) calato giù, (Giuseppe d'Arimatea) lo ravvolse in un lenzuolo (σινδόνι) e lo pose in un sepolcro...
Giovanni, 19,40: (Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo) presero dunque il corpo di Gesù e lo legarono con bende (όθονίοις) insieme con aromi, come è usanza per i giudei di seppellire.
Luca, 24,12: Ma Pietro, levatosi, corse al sepolcro, e chinatosi vide soltanto le bende (όθόνια).
Giovanni, 20,4-7: e venne per primo al sepolcro ("l'altro discepolo"), e chinatosi vide le bende (τά όθόνια) giacenti distese (κείμενα) ... Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e guardò le bende (τά όθόνια) giacenti in terra (κείμενα), e il sudario (τό σουδάριον) che fu sul suo capo, non per terra con le bende (μετά των όθονίων), ma avvolto (έντετυλιγμένον) a parte.